La destra di derivazione missina, giunta con la Meloni al vertice del potere, escogita un formulario di buone intenzioni per mascherare lo statalismo che ne connota la storia. È un tentativo di revisione, in nome dell’autonomismo territoriale, che si nutre di molta enfasi e poca linearità di pensiero. Basta misurare con attenzione l’approccio di Andrea Volpi, deputato e vice coordinatore del dipartimento enti locali di Fratelli d`Italia, così come risulta dal suo intervento di ieri alla festa di partito al Circo Massimo (Atreju 2024).
“Gran parte della bellezza e della particolarità dell`Italia – ha spiegato nel dibattito su Unità e coesione, il partito che rafforza campanili, borghi e identità – si deve ai suoi 7901 comuni, ognuno con le proprie peculiarità, il proprio paesaggio, la propria storia e i propri genius loci. Grazie ai fondi Pnrr abbiamo avuto la possibilità di sviluppare un vero e proprio progetto di rilancio dei borghi d`Italia partendo dalla valorizzazione del patrimonio culturale sparso per tutta la penisola ma anche da un processo di transizione informatica che renda i comuni sempre più competitivi e connessi tra di loro e con i cittadini”.
Da questa premessa Volpi ricava lo spunto per mettere insieme una rivendicazione (per la sua parte) e un’accusa (alla sinistra): “Fratelli d`Italia si sta dimostrando sempre di più il partito degli amministratori locali. Non accettiamo lezioni da chi negli ultimi 15 anni ha tagliato miliardi agli enti locali e bombardato l`architettura dello Stato con una finta abolizione delle province. Ora è compito di noi eletti impegnarci nel coltivare un nostro modello di città del dopodomani per avversare i modelli effimeri e senza anima, come la città dei 15minuti, la città generica, la città dei 30kmh, le città della paura, che la sinistra vorrebbe imporre”.
Ed ecco la sua conclusione: “Per farlo è necessario rimettere al centro la pianificazione urbanistica, coniugare l`identità territoriale con quella nazionale, rafforzare le autonomie locali diminuendo il centralismo ma aumentando la sussidiarietà dando così vita ad un nuovo municipalismo che potremmo definire “patriottismo comunale”.
Ora, sarebbe interessante capire in che senso Fratelli d’Italia possa rivendicare un merito speciale per una politica di spesa garantita dai fondi del Pnrr. Non può essere l’eccezionale contributo europeo, utilizzato per sostenere anche gli investimenti locali, un motivo di vanto. Lo sarebbe invece se il piano degli interventi comunali fosse stato ordinato e promosso secondo una direttiva strategica. La destra, invece, ha solo accompagnato un processo che trova largamente origine nelle scelte del governo Draghi.
Quel che più stona, tuttavia, è la retorica del “patriottismo comunale”, come se l’autonomia differenziata delle Regioni non si configurasse come una intelaiatura istituzionale in tendenziale contrasto con la valorizzazione dell’Italia dei Municipi. Non si ha il coraggio di esplicitare il dissenso dal disegno leghista e si ricorre alla gonfiezza di formule astratte, senza effettive ricadute sul piano poltico e amministrativo. In questo modo si alimenta la confusione perché invece di frenare Salvini, dando un profilo corretto alla politica autonomistica, si preferisce giocare con un ossimoro bell’e buono, immaginando di collegare – ma come? – nazionalismo e municipalismo. Forse non è una novità. Qualcosa di analogo provò a farlo il marchese Di Rudinì a fine ‘800 e non andò per niente bene: il “decentramento conservatore”, come fu prospettato in corrispondenza di un disegno restauratore di “stato forte”, cadde sotto i colpi di una grave crisi del regime liberale. La storia insegna che la politica esige sempre un quid di chiarezza e rigore: non si riforma lo stato a colpi di ossimori. Bisogna tenerne conto nel dibattito politico attuale. In sostanza, anche per quanto riguarda le autonomie locali, la destra deve trovare la forza di rigenerarsi nella necessaria coerenza di un “pensiero lungo”, specialmente a motivo della funzione centrale che oggi esercita nel governo del Paese.