Il premier turco Erdogan, vincitore della rivolta siriana, ci ha tenuto a far sapere che lui e Putin sono ormai i due uomini di Stato più longevi al mondo: 22 anni di potere l’uno, quasi
altrettanti l’altro. Come a voler rivendicare il primato di quelle modalità estreme di governo che al momento si rivelano più capaci di conciliare la stabilità dei regimi e la loro apparente (molto apparente) legittimità elettorale.
Gli si potrebbe obiettare che anche Assad, rintanato ora in una dacia nei pressi di Mosca, fino a qualche giorno fa godeva della stessa longevità di governo. E che nel nostro passato recente abbondano una gran quantità di dittatori che hanno governato con la forza per molti, troppi anni. Lasciando dietro di sé le macerie dei loro stessi Paesi. I governi autoritari infatti appaiono più solidi e duraturi, ma solo perché barano al gioco della democrazia. E non è un caso che la loro caduta avvenga infine il più delle volte nei modi tumultuosi che abbiamo appena visto a Damasco.
È la metafora del riccio e della volpe evocata da Isaiah Berlin. La volpe è versatile, sa fare molte cose, ha imparato ad adattarsi. Il riccio ne sa fare una sola, riesce a farla molto bene, ma fa sempre e solo quella. È il conflitto tra la duttilità e la specializzazione.
Laddove la democrazia è volpe, e l’autoritarismo è riccio. Negli ultimi tempi, a quanto pare, noi volpi democratiche occidentali non ce la stiamo passando troppo bene. Ma la flessibilità tipica dei regimi liberal-democratici resta sempre un valore. E non sarebbe saggio barattarla per diventare ricci anche noi.
Fonte: La Voce del Popolo – 12 dicembre 2024
[Articolo qui riproposto per gentile concessione del direttore del settimanale della diocesi di Brescia]