martedì, 14 Gennaio, 2025
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La Margherita e il mito del suo ritorno: una riflessione critica.

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È bastato un convegno pubblico organizzato a Roma alla Lumsa con il Direttore dell’Agenzia delle Entrate Ruffini per ritornare a parlare della Margherita. O meglio, di un partito simil Margherita.

Ora, per non continuare a suscitare illusioni o ripetere gli errori di tutti coloro che pensano che il futuro non è nient’altro che la ripetizione meccanica del passato, parlando proprio della esperienza concreta della Margherita è necessario fare almeno tre considerazioni. Tra le molte che si potrebbero fare. E questo al di là e al di fuori delle ambizioni personali di Ruffini e del suo futuro politico ed istituzionale.

Innanzitutto la Margherita è stata la prima esperienza di “partito plurale” nel nostro paese. Dove, cioè, più culture politiche convergevano nello stesso partito accomunate da un progetto politico preciso, condiviso e ben definito. Ovvero, e principalmente, la tradizione e la cultura del cattolicesimo popolare e sociale che si riconosceva prevalentemente nella leadership di Franco Marini e quella liberal -democratica, ambientalista e riformista che aveva in Francesco Rutelli un riferimento indiscusso. Oltre ad altri apporti, altrettanto importanti, come quello di Clemente Mastella, Lamberto Dini e del sempreverde Romano Prodi. Un esperimento, riuscito e vincente, che oggi, per ragioni oggettive e quasi indiscutibili, è semplicemente impraticabile perché, appunto, storicizzato.

In secondo luogo il tema della presenza politica e pubblica dei cattolici. Argomento complesso e di straordinaria importanza nella vita politica italiana. Ma anche su questo versante serve un minimo di chiarezza quando, su alcuni organi di informazione, si parla qualunquisticamente di “ritorno della Margherita”. E cioè, pure senza soffermarsi eccessivamente, anche i più lontani e distratti dalle vicende della politica italiana, sanno che i cattolici democratici, popolari e sociali che avevano scommesso sul progetto della Margherita sono approdati tutti nel Partito democratico. Certo, il Pd della Schlein non è più il partito di Veltroni. Ma, al di là delle singole leadership, frutto del tempo che scorre, è di tutta evidenza che all’orizzonte è difficile intravedere una fuga di massa dei cattolici dal Pd per approdare in un altro partito o soggetto politico. E questo perché ciò significherebbe la sconfitta plateale del progetto originario del Pd da un lato ed innescherebbe, dall’altro, una conflittualità permanente e strutturale all’interno della coalizione progressista e di sinistra.

Infine, e non per ordine di importanza, il pianeta centrista italiano nel campo progressista – nella coalizione di governo un partito di centro c’è già e si chiama Forza Italia – è molto variegato e non è più riconducibile agli schemi del passato. Per intenderci, con i tempi che hanno registrato la presenza di un partito come la Margherita. E cioè, oltre ai partiti personali di Renzi e Calenda si deve aggiungere il neo partito liberal di Marattin nonchè il ruolo del ‘federatore’ centrista in pectore, il sindaco di Milano Sala. Partiti e capi partito che sono, come è stato detto recentemente, tendenzialmente “infederabili”.

Ecco perché è, appena sufficiente ricordare questi tre piccoli dettagli – peraltro decisivi – per portare ad una altrettanto banale conclusione. Ovvero, l’esperienza di quella Margherita è definitivamente ed irreversibilmente archiviata. Dopodiché, e come ovvio e persino auspicabile, è decisamente positivo, nonchè incoraggiante, che nascano altri partiti o soggetti politici con una chiara impronta centrista, riformista e moderatau nel campo progressista e di sinistra. Anche perché, come ci dice la concreta vicenda politica italiana seppur in un tempo caratterizzato da un profondo e quasi strutturale bipolarismo, si continua “a vincere al centro” e, soprattutto, si  continua a “governare dal centro”.



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