Come nelle migliori famiglie, a fine anno è tempo di bilanci anche per l’Unione europea. Ma questa volta, nessun’analisi politica. Andiamo alla realtà nuda e cruda rappresentata dai numeri, che poi alla fine “contano”, appunto, molto più delle parole.
Detto che l’Unione europea ha una programmazione settennale di bilancio, una roba che avrebbe invidiato anche Lenin, che si era modestamente fermato a 5 anni per la sua Nuova politica economica nel 1921. Per 7 anni e 27 Stati membri, il bilancio in corso (fino al 2027) prevede 1,27 miliardi di euro. A questi si sono sommati interventi straordinari come il Next Generation EU, che valeva 723, 8 miliardi di euro. E il sostegno all’Ucraina, in gran parte finanziato non dall’Ue ma dai singoli Stati membri, per cui è difficile avere un quadro preciso ad oggi.
Più nel dettaglio, quest’anno, sono previsti 189,4 miliardi di euro per impegni di spesa e 142,7 miliardi di euro per stanziamenti di pagamento. Gli impegni di spesa sono giuridicamente vincolanti a destinare denaro ad attività realizzate nel corso di diversi anni e i pagamenti sono spese derivanti da impegni assunti nel corso degli anni correnti o precedenti, immaginiamo per progetti pluriennali. Si tratta di 332,1 miliardi di euro.
Ora, per avere dei termini di paragone: Google nel primo trimestre ha registrato un fatturato di 88,3 miliardi di euro. In pratica, quest’anno la sola Google fattura quanto l’Unione europea spende. Il Pil italiano vale 2.218 miliardi di euro. Quello europeo 17mila miliardi.
Basti questo a capire quanto i 332 miliardi di euro di bilancio europeo per il 2024 siano una goccia nell’Oceano. Come lo è l’1,27 miliardi di euro nei sette anni.
Per questo, la prima e più urgente riforma che servirebbe sarebbe proprio quella di avere un bilancio più corposo, più politico che sappia mettere l’Ue in condizioni di agire con la forza adeguata. Da anni, si dice che è necessario. Ma non è più rinviabile. Lo stesso rapporto steso da Mario Draghi si basa su 800 miliardi di investimenti all’anno da aggiungere a quelli attuali. Una cifra che, in realtà, sarebbe il minimo indispensabile per raggiungere le priorità fissate. Tuttavia, i primi negoziati per il prossimo bilancio pluriennale 2028-2034 non promettono nulla di bene. Gli Stati membri, come da tradizione, tengono il freno tirato e i cordoni della borsa chiusi. La Commissione neo insediata sarà in grado di stendere una proposta subito dopo l’estate 2025.
Ma continuano a mancare visione globale, coraggio e senso della realtà. Il processo di adesione sta accelerando, sulla scia della guerra russa in Ucraina, con un numero crescente e cresciuto di candidati. Andrebbe ripensata la Politica agricola comune, aperta una riflessione sulla prossima politica di coesione. È sempre più evidente la necessità di una nuova politica industriale che dia sostegno alle imprese e crei ricchezza e posti di lavoro.
Ma, di nuovo, Bruxelles non riesce a lanciare il cuore oltre l’ostacolo. Sembra paradossale ma ancora non sembra esserci la piena consapevolezza della serietà della situazione.
Nel mondo di oggi, le aziende del settore tecnologico, informatico e di servizi connessi sono le vere padrone del mercato globale. Si è fatto l’esempio di Google, e tutti conosciamo il potere economico di Apple, Amazon, Microsoft. Tra le prime 10 aziende di successo, c’è una sola europea, la svedese Spotify. Ma il clima per aziende e imprenditori in Europa è tale che anche Spotify ha traslocato andando a spostare la base operativa a New York. Ingegneri, medici, architetti, startup di vari settori trovano sempre più spesso migliori opportunità e condizioni di vita fuori Europa. Per frenare questo fenomeno che drena i talenti europei l’unica soluzione è investire di più e meglio.
Il rischio, se l’Ue non inverte la rotta è che l’esodo di talenti continui, lasciando un continente stanco e vecchio che non è in grado di garantire un futuro neanche ai propri cervelli migliori. Siamo già in ritardo.