Il tema della gestione delle migrazioni, una sfida per le élite intese come governance, rappresenta uno dei grandi test che l’Europa deve affrontare, ma di cui sembra non aver ancora preso piena consapevolezza.
Infatti, a ogni rotta migratoria chiusa se ne apre un’altra, e contrastare da soli l’immigrazione irregolare non è un’impresa possibile. Serve una politica multilaterale che preveda l’apertura di vie legali di accesso e corridoi umanitari, insieme a misure integrate con le necessità dei paesi di origine.
Questo approccio rappresenta anche l’unico modo efficace per contrastare gli affari dei trafficanti e garantire i diritti dei migranti, le cui condizioni, dopo la pandemia, sono peggiorate, con un aumento generalizzato dell’incidenza della povertà.
Una direzione è stata indicata dal Parlamento Europeo: l’emissione di visti umanitari direttamente nelle ambasciate e nei consolati dei paesi europei localizzati nei paesi d’origine dei migranti.
Anche il nostro Paese, negli ultimi due anni, ha adottato numerosi provvedimenti normativi su questo tema. Sono molti, infatti, gli interventi emanati dall’autunno del 2022 a oggi. In questo panorama si inserisce anche il capitolo relativo all’Albania, un esempio di narrazione fantasiosa e bizzarra di una possibile soluzione del problema, senza gloria.
Tra le novità normative, ricordiamo alcune delle principali, per comprendere in che direzione sono andati i cambiamenti apportati, spesso non in linea con i principi indicati dalla Costituzione.
Abbiamo assistito, infatti, all’introduzione di nuove procedure e regole per l’esame delle domande di protezione internazionale, alle nuove norme sul trattenimento, anche per i richiedenti asilo, all’inserimento di una cauzione, all’abrogazione della protezione speciale al di fuori della protezione internazionale, al divieto di conversione in permessi di lavoro per protezione speciale, cure mediche o calamità naturali. Inoltre, si è registrata una riduzione delle garanzie per i minori non accompagnati, così come una diminuzione delle cure per le persone straniere, con un conseguente restringimento del diritto di difesa, prevalentemente per i richiedenti asilo, ma non solo. Queste misure hanno ridotto la possibilità di far valere i diritti sostanziali di cui queste persone sono portatrici.
Nella corsa verso il nostro esclusivo benessere, abbiamo perso il senso dell’altro e del valore intrinseco di ogni essere umano, che rappresenta un bene primario in una democrazia che voglia definirsi ed essere realmente tale. Viviamo un’epoca in cui la dignità della persona umana viene ridotta a mero prodotto finale di un processo economico irrazionale.
In questo contesto, l’essere umano è diventato un mezzo per il consumo. Lo spazio per l’affermazione dei suoi diritti si è ridotto, e la dignità della persona non è più considerata un valore supremo dell’ordinamento europeo, fonte di tutti i diritti.
La politica ha perso umanità, e l’immigrazione è diventata uno dei principali terreni di scontro culturale e politico. Non riusciamo a coglierne le potenzialità né ad avviare una politica seria che affronti il problema trasformandolo in opportunità.
Siamo immersi in un grande vuoto che non riconosciamo: quello delle vaste terre abbandonate, sempre più fragili; delle corsie degli ospedali, con sempre meno personale; dei nostri anziani, bisognosi di cure e assistenza, spesso soli nelle loro esistenze fragili. Le aule scolastiche delle periferie del nostro Paese, e ora anche delle metropoli, vivono grazie alla presenza dei ragazzi immigrati.
Siamo alla vigilia del Giubileo, e la grande richiesta di partecipazione metterà ancora più in crisi il settore dei servizi.
Ma questa potrebbe essere anche l’occasione per tutti di riflettere sul patrimonio umano che abbiamo già qui, composto da persone che, inserite da tempo nell’economia del nostro Paese, rappresentano ormai una risorsa produttiva riconosciuta in intere filiere.